Al Teatro Rosetum soltanto 500 euro per allestire Puccini

Cosa si può fare all’opera con 500 euro? Per esempio, comprare un biglietto per il Festival di Salisburgo, il più caro del mondo, e avanza anche qualcosa per la cena. O due biglietti per la Scala (con un po’ di resto) o due per il Metropolitan di New York (con un po’ di aggiunta). Oppure pagare un trentaquattresimo del cachet di un cantante star, fissato per decreto a 17 mila euro massimi. Oppure anche realizzare un’intera nuova produzione diBohème. Tutta: scene, costumi e luci.

Puccini low cost e fai-da-te, minimo più che minimalista, però alla fine pure applaudito e stranamente persuasivo.

È successo a Milano, al Rosetum, teatrino di frati inaugurato nel ’57 nientemeno che da Maria Callas e da allora sempre fedele all’appuntamento con l’opera. Qui fa la sua stagione l’associazione VoceAllOpera, scritto così: Il barbiere di Siviglia, appunto Bohème, un concerto dell’ottimo tenore rossiniano Maxim Mironov (il 5 aprile) come guest e unica star e L’elisir d’amore. Tutto fatto in casa, dunque economico ma genuino. Tanto più cheLa Bohème c’era tutta: quattro atti con coro, coro di bambini e orchestra sintetizzata in tre-strumenti-tre. Quasi una riedizione della mitica Amato Opera di New York, oggi purtroppo defunta, dove mister Amato allestiva nello scantinato di casa dei sempreVerdi imponenti e tutti facevano tutto (la signora, anche dei buonissimi biscotti al cioccolato venduti negli intervalli per arrotondare) per un pubblico di operoinomadi divertiti e italoamericani nostalgici che parlavano ancora con l’accento di Broccolino.

L’uomo che ha fatto Bohème con 500 euro sogna un carriera da regista (e qualche teatro «vero» dovrebbe essere così sveglio da dargli una chance), si chiama Gianmaria Aliverta e per realizzare la sua Parigi ha usato solo materiali riciclati, mentre costumi, attrezzeria e materiali di scena sono stati tutti acquistati al mercatino dell’usato. Però le idee, che non costano niente, c’erano. Per esempio quella di fare dei bohèmiens degli studenti di oggi, di quella generazione Erasmus che pur di vedere un po’ il mondo si accontenta di sistemazioni che prima fanno impressione e poi, ricordandole dopo anni, tenerezza e perfino nostalgia. Del resto, La Bohème è appunto un’opera sulla giovinezza, anzi sul rimpianto per la giovinezza.  E allora Rodolfo è un poeta 2.0 che scrive l’articolo di fondo del Castoro sul computer e Marcello uno street artist che annega il Faraone in un mare di spray rosso. La barriera d’Enfer, una di quelle tremende reti di plastica arancione che circoscrivono gli eterni lavori in corso delle nostre città. Insomma, funziona quasi tutto; il quasi è per qualche bozzettismo di risulta, tipo l’ingresso di Benoit. Compagnia di cantanti ovviamente giovani e scelti per concorso, a vario grado di maturazione ma nel complesso plausibili. È una miniBohème, ma è Bohème. Fra il pubblico moltissimi giovani, subito entusiasti quando capiscono che l’opera può anche non essere un museo, ma lo specchio dove guardare noi stessi.

 

Alberto Mattioli su La Stampa