Pierachille Dolfini
Renzi e Berlusconi a Porta a porta nella nuova regia di Aliverta che immagina il personaggio di Dante tra i politici di oggi
Anche se il regista, che è Gianmaria Aliverta, dice di no, il Gianni Schicchi andato in scena sull’aia della casina Paù di Rosate (località agricola a sud ovest di Milano dove, in una sorta di festa campestre, da cinque anni a inizio giugno, la lirica esce dal teatro per avvicinare chi, magari, i teatri non li frequenta) è uno spettacolo politico. E non (solo) perché, sullo stile del Bagaglino e degli indimenticati spettacoli tv targati Pingitore con Pippo Franco, Oreste Lionello e Leo Gullotta, mette in scena politici di oggi (e qualcuno di ieri vista la rivoluzione uscita dalle urne il 4 marzo). È politico come lo è tutta la satira. È politico nell’intuizione di un Gianni Schicchi, personaggio che Dante ha messo all’Inferno, con le fattezze di Matteo Renzi, rottamatore e innovatore di una certa stagione politica italiana che, nella beffa per riscrivere il testamento di Buoso Donati, si traveste da Silvio Berlusconi.
Critica feroce, analisi politico/sociologica fatta con il sorriso di una stortura che i commentatori di quotidiani e salotti tv (ma anche gli esponenti di minoranze di sinistra e i fuoriusciti democratici) hanno sottolineato in questi anni caratterizzati dal renzismo. Ovvero la sostanziale affinità (diremmo somiglianza impressionante) dal Patto del Nazareno in poi delle politiche e delle istanze dell’ex premier ed ex segretario del Pd con l’ex cavaliere ed ex leader del centrodestra.
Tutti ex, verso i quali scatta una sorta di tenera compassione. Anche nella regia di Aliverta che strappa risate sonore durante tutto l’atto unico, Gianni Schicchi, appunto, culmine del capolavoro datato 1918 di Giacomo Puccini, quel Trittico che è una riflessione sulla morte, ma anche sulla vita che, nonostante tutto, ricomincia. Risate perché sul palco ci sono caricature dei nostri politici che Aliverta, tramontata la stella di Berlusconi/Buoso, vede orfani di un vero leader nel bene e nel male, da appoggiare o da contrastare: così Rosy Bindi/Zita e Pierluigi Bersani non hanno più nessuno contro il quale scagliarsi, Giorgia Meloni/Nella e Daniela Santanché/Ciesca non sanno più a chi fare riferimento mentre Matteo Salvini/Gherardo con la sua felpa con la scritta Milano è pronto per la scalata alla leadership una volta fatto fuori Brunetta/Gherardino – e anche qui feroce l’ironia di immaginare il piccolo di casa Donati come l’esponente di Forza Italia.
Così il Contratto con gli italiani in cinque punti diventa il testamento di Berlusconi/Buoso che lascia tutto al San Raffaele (nel libretto di Giovacchino Forzano i beneficiari sono i frati). E la messinscena della dettatura del finto testamento, per mettere d’accordo i parenti/politici sull’eredità avviene nello studio di Porta a porta (con tanto di Mariano Apicella a schitarrare) con Bruno Vespa/notaio e Renzi/Schicchi che si traverse da Berlusconi con bandana in testa e occhiali da sole. Così che non si capisce bene di chi sia opera, se di Renzi o Belusconi, la beffa finale che fa infuriare i parenti/politici e trionfare l’amore di Rinuccio e Lauretta – lui abbigliato come Alessandro Di Battista e lei come Maria Elena Boschi che cantando O mio babbino caro non può non far pensare alle note vicende giudiziarie legate alle banche.
Spettacolo visivamente di impatto pur nell’essenzialità dei mezzi con scene riciclate e reinventate (gli stessi cubi usati da Aliverta nella rossiniana Cenerentola, realizzati dai ragazzi delal fondazione Castellini di melegnano) e costumi azzeccatissimi di Francesco Bondì (il tailleur della Bindi o l’abito verde brillante che la Santanché sfoggiò a una prima della Scala). Regia molto presente sul testo e sulla musica suonata alla tastiera da Debora Mori e restituita nella sua meccanica e millimetrica puntualità da un gruppo di giovani interpreti scovati alle audizioni di VoceAllOpera: tra loro Luca Vianello brillante Schicchi, Gesua Gallifoco delicata Lauretta, Antonio Mandrillo squillante Rinuccio mentre dal coro dei parenti/politici emergono il bel timbro tenorile di Maurizio De Valerio, la spigliatezza di Francesca Mercuriali e la caricaturalità di Elena Caccamo e Giovanni Tiralongo.