VENEZIA – Nel bel volume-pro-gramma edito dalla Fenice viene ristampata una mia vecchia stroncatura della ‘Voce uma-na” di Poulenc. Era il 1970 e dominava il moralismo della neoavanguardia e l’influenza di Adorno. Ma oggi, in una prospettiva del Novecento aper-ta al molteplice, quest’opera risulta una delle più significati-ve riuscite teatrali del secolo scorso. Una donna parla al telefono della sua disperazione, rivolgendosi all’amante che l’ha abbandonata: idea drammatica di affascinante snobismo del dramma di Cocteau. La nostalgia del “Pelleas” di Debussy e di “Madama Butter-fly” di Puccini si stempera in una recitazione dagli angosciati brividi del cuore. Il meraviglioso soprano Angeles Bianca Gulin ricrea la sottigliezza e insieme l’eccitazione della parola con l’esercizio sapiente della sfumatura. Dirige con perfetta aderenza Francesco Lanzillotta. “La Voce umana” è stata felicemente accostata al “Diario di uno scomparso” di Jaml-cek, un capolavoro cameristico di carattere teatrale. Il compositore moravo utilizza le risorse del parlato autoctono in chiave potentemente espressi-va e con impressionante realismo lirico-drammatico. Il tenore Leonardo Cortellazzi interpreta il commovente ciclo liederistico nel racconto di un contadino sedotto da una zingara, oppresso dal rimorso ma alla fine travolto da una passione liberatoria. La composizione è del 1919 e segna la scoperta del sessantenne musicista di una più avanzata ricerca rapsodica novecentesca, come in Bartók. Ciò è evidente anche nella ardita scrittura pianistica, realizzata con maestria da Claudio Moretti. Lo spettacolo intende collegare drammaturgicamente questo dittico. Non so se sia un’ipotesi proponibile; comunque Gianmaria Aliverta è un giovane regista di talento. Limpida la scenografia di Massimo Checchetto.

Gazzettino

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