L’ardito Aliverta conquista il Malibran

Accolta dagli applausi l’attesa prima del dittico Poulenc-Janácek allestita dalla Fenice in versione “low cost”

VENEZIA. Chissà se al Teatro Malibran, martedì sera, c’era qualcuno che aveva visto nel 1970 la storica produzione della Fenice di “La voix humaine” di Poulenc. Chissà se c’era qualcuno che aveva conosciuto le edizioni con la Zeani, la Scotto, la Norman, l’Antonacci, o magari i film in cui la Magnani e la Bergman recitano il testo di Cocteau che fa da libretto. Se qualcuno c’era, sarà rimasto molto sorpreso del nuovo allestimento della Fenice: nella regia del 31enne Gianmaria Aliverta – sempre attento ad allestimenti “low cost” che nulla tolgono all’intensità dello spettacolo – “La Voix humaine” ha trovato un antefatto in “Il diario di uno scomparso” di Janácek. Il regista ha considerato che l’elemento che poteva unificare i due titoli, proposti nella stessa serata, fosse l’amore (elemento che per altro potrebbe collegare fra loro pressoché tutte le opere liriche). Così si è tentato lo spericolato gioco di unire la favola morale di Janácek, il suo universo contadino fatto di zingare, buoi e allodole, con il dandismo intellettuale di Cocteau, il modernismo del suo testo concepito come una conversazione dimidiata, priva com’è delle interlocuzioni maschili che solo si immaginano come risposte al telefono. Ma questa volta finalmente sappiamo chi c’era all’altro capo del filo, durante l’angosciante chiamata della donna: un contadino che l’ha tradita con la zingara Zefka. Alla fine scopriremo che lei l’ha ucciso (lo si intravvede cadavere in obitorio) e la vedremo suicidarsi dopo aver strappato la pistola al poliziotto venuto ad arrestarla. Espediente che consente tutto questo è l’intervento di un mimo che impersona il contadino, mentre al tenore è affidata la parte del poliziotto che inizia le indagini partendo dalla scoperta del diario dello scomparso.

Le due partiture sono diversissime, non solo perché quella di Janácek viene presentata per la prima volta nel 1921 e quella di Poulenc nel 1959, ma perché il compositore moravo scrive sostanzialmente un ciclo di Lieder per tenore, contralto, tre voci femminili e pianoforte che, a parte il cosiddetto “intermezzo erotico”, propone uno sfondo discreto e dialogante. Invece il compositore francese utilizza l’orchestra, seppur a organico ridotto, affidandole un ruolo di assoluto rilievo, soprattutto nelle acri interiezioni, in alternanza al canto concitato e continuamente spezzato del soprano.

La protagonista di “La voix humaine” non può che essere una grande cantante attrice e sotto questo punto di vista Ángeles Blancas Gulín, già apprezzata Lou Salomé, è da lodarsi senza riserve. Si disimpegnano bene nella prima parte anche il tenore Leonardo Cortellazzi e il mezzosoprano Angela Nicoli. Bene le voci fuori scena. Marino Moretti suona il pianoforte con finezza ed eleganza. Francesco Lanzillotta dirige l’orchestra con tagliente efficacia alternata a convincenti tratti di accorato lirismo. Il team della Fenice contribuisce alla riuscita dello spettacolo che il pubblico ha applaudito anche in questa ardita articolazione.

Massimo Contiero su Il Mattino di Padova

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