Abbinamento alquanto insolito quello del dittico presentato dalla stagione Lirica di VoceAllOpera al Teatro Filodrammatici di Milano: “La voix humaine” di F. Poulenc e “Cavalleria Rusticana” di P. Mascagni. Denominatore comune per due opere così diverse è la passione amorosa che fa perdere lucidità quando non corrisposta; quella passione che uccide.
“La voix humaine” è un dramma personale e intimo che, nella visione del giovane regista Gianmaria Aliverta, si consuma in un ambiente completamente svuotato da ogni elemento che possa distogliere l’attenzione dai tormenti dell’anima e della mente. In scena soltanto la protagonista con il suo “delirio” e pochissimi elementi ritenuti fondamentali: la piantana con una flebo (lei è presumibilmente in cura per un forte esaurimento), il cellulare e una borsetta che contiene pochi oggetti, ricordi di una storia d’amore ormai giunta alla fine, ed una pistola che porrà fine tragicamente alla vicenda. La visione di Aliverta di questo intenso dramma è tutta improntata sull’uscita di senno dell’interprete (senza nome) che si ostina a trattenere, attraverso una serrata conversazione al telefono, il suo amante (di cui non si sente mai la voce) che ormai l’ha lasciata per un’altra. Ecco allora gli scatti d’ira per la pessima qualità del servizio di telefonia, ecco il contorcersi in veri e propri attacchi di follia, ecco l’ ”annullarsi” e colpevolizzarsi per giustificare a sé stessa la fine della storia. Nel finale si scopre che in realtà l’interlocutore telefonico è soltanto il frutto della mente malata della protagonista e sullo sfondo appare il cadavere dell’amante traditore che lei stessa ha ucciso nella sua follia e sul quale pone fine alle sue sofferenze suicidandosi con un colpo di pistola.
Senza dubbio rendere il tormento psicologico di questo personaggio è cosa assai ardua sia dal punto di vista attoriale che vocale. Giovedì sera il giovane soprano Ginevra Schiassi si è dimostrata veramente all’altezza del ruolo. Scenicamente parlando ha eviscerato tutta la follia e il tormento alternando gesti e comportamenti nevrotici a momenti di totale rassegnazione e dolcezza nei confronti dell’abbandono subito e, sotto l’aspetto vocale, è venuta a capo della difficile tessitura priva di appigli melodici, basata tutta su dissonanze che necessitano di un canto ricco di declamati e puntature acute improvvise, nel caso della Schiassi, mai gridate. Spesso il tessuto musicale è del tutto assente e non accompagna il canto. L’abilità della protagonista ieri sera è stata proprio quella di mantenere sempre alta la tensione del dramma che sfocerà nel tragico epilogo. Perfetta anche la pronuncia del francese.
Più “di tradizione” l’altro titolo del dittico. La “Cavalleria Rusticana” pensata da Gianmaria Aliverta si colloca nella Sicilia contemporanea, dove è evidente il contrasto tra usi fortemente radicati nella tradizione e la compagine paesana di giovani rappers e rockettari. Turiddu è un giovane tatuato abbigliato eccentricamente mentre Santuzza è una ragazza sobria e di “buoni principi”, Alfio un boss locale e Lola, sua moglie, una ragazza palesemente di facili costumi. Per quanto riguarda l’adattamento registico le poche parole di spiegazione date da Aliverta nelle note di sala sono sufficienti a motivare le sue scelte perfettamente condivisibili: la regia «ancora una volta cerca la verità nelle pieghe emotive del dramma, cercando un canale preferenziale nello spettatore per ottenere il massimo della comprensione… a ricordarci che i “topos” dell’opera parlano un linguaggio ancora vivo». Ecco che allora la scena, ancora una volta, è ripulita da tutti quegli orpelli che distraggono l’attenzione dello spettatore dai tormenti interiori dei vari personaggi.
Anche in questo caso la compagine dei cantanti si è comportata in modo più che dignitoso tendendo soprattutto conto del fatto che sono tutti molto giovani.
Moonjin Kim, coreana, si è calata in modo adeguato nell’intenso ruolo di Santuzza, dimostrando di aver compreso sufficientemente la psicologia del personaggio nonostante sia così lontana dalle sue tradizioni. Vocalmente, con qualche incertezza iniziale dovuta probabilmente all’emozione, si è ben comportata: l’emissione a fuoco e la voce sonora hanno reso bene la drammaticità della partitura verista.
Ad Alessandro Mundula va sicuramente riconosciuto il coraggio di essersi cimentato con il difficile ruolo di Turiddu che necessita di un temperamento prettamente verista sia vocale che attoriale. Anche lui non si è risparmiato nonostante la parte non sia parsa esattamente adatta alle sue corde. Tuttavia la sua prova è risultata nel complesso soddisfacente riuscendo a dare la giusta impronta al ruolo.
Anche le doti, per altro molto interessanti dal punto di vista vocale, di Hyun Kyu Ra (premiato nei giorni scorsi anche alla finale del Concorso Prandelli) non sembravano combaciare perfettamente con il ruolo di Alfio. Tuttavia il cantante ha mostrato un interessante timbro prettamente baritonale, una tecnica piuttosto solida e priva di forzature nonostante la parte tendenzialmente porterebbe a “spingere”. È parso, in ogni caso, che il suo canto si adatti maggiormente a un repertorio più lirico.
Brava sia vocalmente che scenicamente anche la Lola di Carlotta Vichi dotata di una bella linea di canto, morbida nell’emissione e di un bel timbro mezzosopranile.
Più che buone le prove delle altre compagini artistiche guidate da Damiano Cerutti in veste di direttore e pianista, coadiuvato da Carlo Moretti (flauto), Chiara Tagliabue (clarinetto) e Matteo Dossena (fagotto) per quanto riguarda la parte orchestrale e dal coro di VoceAllOpera che ha contribuito indubbiamente, grazie alla sua buona e impegnativa prestazione, al successo della serata.
Al termine applausi calorosi per tutti segno che, ancora una volta, la produzione “a costo zero” ha ripagato l’impegno di questi giovani artisti.
Susanna Toffaloni su Operaclick