Gianni Schicchi | novembre 2018
Diego Pretini Il fatto quotidiano

Un’opera comica in un atto che Aliverta spintona con grazia fino a farla rotolare ai giorni nostri, cioè oltre settecento anni dopo l’epoca in cui è ambientata (cioè un po’ prima del Trecento). La trama è quella di un intrigo: gli stratagemmi che Gianni Schicchi – fiorentino acuto, astuto, svelto di sguardo e pieno di spirito – si deve inventare per aiutare i familiari del riccone Buoso Donati che è morto lasciando tutto in eredità non a loro bensì a un convento di frati. Schicchi, Donati, i parenti e tutti gli altri compongono la variopinta batteria di personaggi politici o simili, visto che c’è spazio anche per qualche comparsata di Lele Mora (senza pretese di direzioni di giornali comunisti) e di Apicella (ma senza chella canzone di quei celeberrimi eppure improbabili duetti a Villa Certosa).

Dunque: chi sarà il fiorentino astuto che viene dalla cosiddetta gente nova che con la burla rottama la vecchia? Chi sarà il riccone che non sembra mai uscire davvero dalla scena? Chi poteva assumere il compito di Lauretta (interpretata da Gesua Gallifoco, classe 1996) se non Maria Elena Boschi, tanto più che l’aria più celebre dell’opera (la sua) comincia – guarda il caso – con O mio babbino caro?

E, infine, poiché la lirica è magia, trascina lontano il pensiero, in un mondo onirico, riporta davanti agli occhi perfino ciò che non esiste più, comprese le storie di un tempo molto molto lontano, in scena si ritroverà nientemeno che Angelino Alfano che prima di scomparire nel nulla come un illusionista è stato uno dei ministri più longevi della storia della Repubblica.

A una cosa non possono arrivare invece neanche la lirica, il teatro, l’arte. Cioè a stravolgere completamente il finale: quello di Schicchi è un trionfo (sia pure con l’inganno), quello del suo epigono nella realtà appare a tutti (tranne che a lui) senza speranza.