La prima e più celebre opera di Engelbert Humperdink è da noi una relativa rarità, a differenza dei paesi di lingua tedesca dove Hänsel e Gretel è stabilmente in repertorio e costituisce un abituale appuntamento, natalizio e non solo, per adulti ed infanti.
La felicità nell’ispirazione, tanto nella vena melodica quanto nella ricchezza di tinte orchestrali, fece sì che da un progetto pensato per allietare i bambini nascesse uno dei capolavori del teatro musicale di fine Ottocento. Come tale fu immediatamente riconosciuto anche da Richard Strauss, che ne diresse la prima il 23 dicembre 1893 a Weimar, dove il ruolo di Hänsel fu ricoperto da quella Pauline de Ahna che l’anno successivo divenne la Signora Strauss.
La non foltissima tradizione esecutiva nel nostro paese prevede anche l’esecuzione dell’opera in traduzione italiana, testimoniata anche da una nota incisione Rai diretta da Karajan. Anche l’Opera di Firenze, per la produzione in scena al piccolo Teatro Goldoni, ha optato per la lingua italiana, nella più recente versione ritmica di Lorenzo Arruga.
Teatro esaurito alla prima (a cui ha presenziato anche il premier Renzi con famiglia) e probabile sold out anche in tutte le repliche previste al Goldoni, con un doppio cast, per questo secondo appuntamento che la stagione fiorentina dedica all’Orchestra del Conservatorio Cherubini.
L’entusiasmo del pubblico presente è giustificato dalla bontà dell’esito complessivo dello spettacolo. Certo, la scelta dell’orchestra a ranghi ridotti – imposta anche dalle dimensioni del Goldoni – ridimensiona il fascino della musica di Humperdink e i giovani interpreti che sono chiamati a rivestire i ruoli dell’opera (con un’importante eccezione) non hanno i timbri privilegiati che si ricordano nelle più note versioni discografiche, le cui locandine sono popolate da grandi nomi.
Ma anche in questo risiede la grazia ambigua di Hänsel e Gretel, nel suo amabile oscillare tra la fiaba e il melodramma classico, tra l’operina da camera e la grande opera dal respiro sinfonico, dove vocalità privilegiate possono mettersi in luce senza apparire fuori contesto e giovani spigliati e ben preparati possono risultare protagonisti credibili.
Nella produzione fiorentina la bacchetta di Farhad G. Mahani conduce con apprezzabile perizia tecnica e passo sicuro la ridotta compagine del Conservatorio Cherubini, che restituisce quanto meno una parte della tavolozza di colori contenuta nella partitura.
Certo, per far posto alla freschezza e alle trasparenze, si perde un po’ di turgore sonoro e qualsiasi piccola incertezza di uno strumento viene messa in evidenza. Poco male, però, se l’insieme funziona e ben si fonde con la semplicità della regia di Gianmaria Aliverta, il quale, con mezzi evidentemente limitati, crea uno spettacolo godibile e dal ritmo teatrale che non viene mai meno. Regia e direzione fanno percepire l’inquieta fanciullezza di altri tempi, la magia della notte e del bosco, l’incombere della grottesca e sinistra figura della strega.
L’impianto scenico di Alessia Colosso si basa sur un grande armadio, sorta di scatola magica o indiretto richiamo alle Cronache di Narnia, che funge all’inizio da casa dei due ragazzi e successivamente diviene il luogo da dove esce l’omino della sabbia e poi ancora il forno in cui la strega prepara i biscotti.
Belli i costumi di Simone Martini e dello stesso regista, il quale lavora con gusto sugli effetti di luce e suggerisce movimenti molto naturali agli interpreti e al coro delle giovanissime voci bianche, ben dirette da Lorenzo Fratini.
Ben assortita la coppia dei protagonisti, con Veta Pilipenko che è particolarmente a suo agio come Hänsel, sia per la ricchezza e giustezza degli accenti che per la disinvoltura con cui si cala nei panni maschili del fratello maggiore.
Buona la diversificazione timbrica con la Gretel di Eleonora Bellocci, incisiva nell’ottava superiore e altrettanto brillante in scena. Qualche slittamento di intonazione nella prima e qualche asprezza nella seconda son cose di poco conto, nel quadro generale. Così come qualche vecchio e noto difetto di Chris Merritt, accentuatosi (ma neppure troppo) col passare degli anni, è faccenda da nulla a fronte della debordante personalità, della simpatia e della potenza ancora considerevole dello strumento con cui il tenore americano – lontano dalle glorie rossiniane e da anni specializzato in ruoli di carattere, con una predilezione speciale per il Novecento – dà vita ad una Strega Knusperhexe da ricordare, giustamente festeggiata dal pubblico presente.
Dioklea Hoxha è molto appropriata nel breve intervento dell’omino della sabbia, mentre solo la coppia di genitori appare un po’ acerba, sia nella Madre di Eunhee Kim che nel Padre di Qianming Dou, quest’ultimo, comunque, interprete volenteroso e in qualche modo efficace.
Fiaba tutta da gustare e concentrata in un unico lungo atto, accolta da molti applausi.
La recensione si riferisce alla recita del 5 marzo 2016.
Fabrizio Moschini su Operaclick
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