-I puristi dell’opera che si “scontrano” per la prima volta con la tua regia potrebbero ricevere uno shock, non solo per i colpi di pistola a salve della scena. Semplice esigenza o raffinata provocazione?
Non si tratta di una provocazione nei confronti di nessuno. E’ un po’ come quando uno chef rielabora un piatto della tradizione e lo fa in modo differente per esaltarne tutte le componenti: non lo fa per fare un affronto ai puristi della cucina tradizionale, ma solo per servire ai commensali un qualcosa di diverso.
-Il successo dei tuoi allestimenti credo sia nella capacità di unire a una messainscena al limite del teatro sperimentale i testi della grande tradizione operistica. Qual è stato il tuo percorso da spettatore prima di approdare alla regia?
Innanzitutto c’è da dire che provengo da 14 anni di carriera come artista del coro. Queste esperienze mi hanno dato la possibilità di prendere parte ad allestimenti interessanti, ma anche a messe in scene a mio avviso pressapochiste e non coerenti. Inoltre ho avuto modo di rendermi conto che spesso le macchine costose e dispendiose messe in piedi rispondono a cliché tramandati dalla tradizione operistica e che, nella maggior parte dei casi, non permettono di comprendere a fondo le trame. Cosa per me invece fondamentale.
-In questi giorni (se riesci a inviarmela prima che finisca, al massimo si cambia) presenti con VoceAllOpera “La Vox Humaine” e “Cavalleria Rusticana”. Un accostamento azzardato sia temporale che intellettuale…
Tutti i giornali hanno parlato di accostamento inusuale, per questo dittico. In realtà io credo che La Voce umana si sposi benissimo con Cavalleria, più che con Pagliacci con cui è generalmente eseguita. La lontananza temporale fra le due opere serve ancora di più per mettere in risalto il motore scatenante di entrambe, la passione. Sentimento vissuto e sofferto da due donne che in epoche storiche lontane escono dalla storia in maniera completamente differente: quella della Voce Umana, donna francese degli anni 60 del novecento che esce totalmente devastata dalla delusione amorosa. Diventa una donna zerbino incapace di riscattarsi sull’uomo che l’ha abbandonata. Nel nostro allestimento questo annientamento è acuito dal crollo nervoso che porterà la protagonista a compiere un atto estremo. Mentre Santuzza, la protagonista di Cavalleria, siciliana di fine 800, è il vero motore della narrazione. E’ capace di reagire al tradimento del suo amato, sia con la forza della fede, sia con il suo carattere. L’accostamento di queste due opere mi ha permesso di ribaltare gli stereotipi su queste due tipologie di donna: La Voce umana che in realtà dovrebbe essere una donna emancipata del ventunesimo secolo, risulta più succube e incapace di reagire rispetto a Santuzza. Quest’ultima, seppur in un contesto di sudditanza della donna rispetto all’uomo e di rituali arcaici, riesce invece a emergere e a farsi forte del proprio spirito d’iniziativa.
-La tua grande intuizione e capacità a mio parere è quella di puntare tutto sul coinvolgimento totale del pubblico. Quello del resto che dovrebbe sempre fare il teatro. Il tuo studio parte da un target preciso…
Il mio principale obiettivo è far sì che le mie opere siano comprensibili a chiunque, indipendentemente dalla formazione o dalla classe sociale. Cerco di spogliare i miei allestimenti di ogni drappeggio o orpello superfluo per presentare la vicenda agli occhi dello spettatore nella maniera più diretta possibile. Poi sta al palato di chi gusta il mio piatto, per tornare alla metafora di prima, assaporare alcuni aromi piuttosto che altri. Il mio sogno più grande è far tornare l’opera un’arte popolare, adatta a tutti e non solo a un pubblico anziano o colto, com’è consuetudine credere. E soprattutto il pubblico giovane è quello che mi sta più a cuore, anche per garantire la sopravvivenza della lirica e far sì che i miei coetanei possano ancora innamorarsi delle vicende dei protagonisti delle opere.
-A pochi passi dai Filodrammatici c’è lei…La Scala, il tempio della lirica. Non conosco la spesa per l’allestimento dell’ultima opera ma è stato certo più alto dei tuoi 8.968 E totali spesi per Vox Humaine e Cavalleria Rusticana. Allora dicci: dov’è il trucco?
Della cifra che lei ha indicato c’è da dire che 4000 euro è la somma impiegata per retribuire cantanti, musicisti e direttore; di questi 500 euro sono adibiti a scene e costumi. Il resto serve per l’affitto del teatro e le spese pubblicitarie. Lo staff, dalla costumista all’addetta luci, dall’ufficio stampa alla segreteria, finendo con tutti coristi che mi aiutano per il sentimento di stima e amicizia che ci lega e perché hanno sposato il mio progetto, percepiscono solo la gratitudine del pubblico. E così io per tutto il mio lavoro. Se paragoniamo quindi questi costi al cachèt stellare che ancora richiede un Palcido Domingo – che ormai sta facendo di tutto per far dimenticare ai melomani di essere stato un grandissimo interprete – si può capire facilmente che i giovani cantanti non hanno molte possibilità di esibirsi o debuttare in grandi teatri, tutti occupati da queste vecchie glorie strapagate. Per questo motivo molti giovani (e non solo) prendono parte ai nostri allestimenti perché hanno intuito la serietà del nostro progetto e perché possono avere così la possibilità di un avviamento della propria carriera. Il trucco quindi risiede principalmente nell’idea registica e nell’ingegnarsi di creare qualcosa di originale solo con oggetti e costumi da riciclo e poveri, funzionali allo spettacolo. Gli spettatori sono catturati da quello che succede sul palco e dalla carica interpretativa dei cantanti, a cui chiedo particolari capacità attoriali ed espressive.
-Sei un giovanissimo alla regina in Italia, credo il più giovane. Qual è il tuo rapporto con la vecchia guardia?
Se penso a Visconti, Strehler, Zeffirelli, Ronconi, non posso che guardare alla loro opera con riconoscenza e ammirazione. Hanno certamente fatto e contribuito a fare la storia del teatro nel mondo, ma sarebbe stupido e controproducente ora scimmiottare il loro operato. Grazie anche al loro contributo il teatro è cresciuto ma anche cambiato, per questo motivo ha bisogno di innovatori. Penso ai giovani Leo Moscato, Damiano Michieletto e Francesco Micheli che oggi rappresentano un nuovo modo di concepire la regia d’opera nel mondo. Seppur guardo con ammirazione tutti i citati artisti, io spero di aver creato una mia personale dimensione che non imita nessuno ma che cerca di essere originale e riconoscibile.
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